DA”FORNELLI D’ITALIA” STEFANIA APHEL BARZINI-EDIZIONI MONDADORI.
Tre donne, tre sorelle, tre imprenditrici, tre appassionate di fornelli. Non è certo possibile parlare di gastronomia al femminile senza raccontare la straordinaria storia delle tre sorelle Gosetti della Salda. Sono loro ad aver decretato il successo de «La Cucina Italiana», il più vecchio e il più importante mensile gastronomico del nostro paese.
La rivista vede la luce il 15 dicembre 1929, grazie a Umberto Notari, giornalista e scrittore, a sua moglie Delia e a suo figlio Massimo. È un mensile, ha il formato di un quotidiano, non ha fotografie e costa 50 centesimi.
Da subito, sulle sue pagine, scrivono firme prestigiose della cultura dell’epoca che si dilettano di arte culinaria, da Filippo Tommaso Marinetti, a Ada Negri a Massimo Bontempelli, Giovanni Pascoli. Senatori, deputati e onorevoli inviano al giornale i loro piatti preferiti perché «la sapienza gastronomica non sdegna di congiungersi né alla austerità degli studi, né alla gravità delle funzioni, né alla grandezza dell’ingegno».
Fin dalla nascita è chiaro che il giornale sia rivolto alle donne e le rubriche fisse siano perlopiù scritte da esponenti del mondo femminile. C’è «La rubrica della massaia moderna» firmata dalla stessa Delia Notari dove si insegna che la cucina, nella vita di noi donne, deve avere la stessa importanza del salotto e del guardaroba.
C’è «La tavola di tutti i giorni», ricette delle stesse abbonate o di vecchie cuoche. «Consigli a Rosetta», destinata alle ragazze della più piccola borghesia, prive di esperienza. E c’è poi «Signorilità» curata, fino al 1937, dalla contessa Elena Morozzo della Rocca, che naturalmente elargisce consigli di bon ton, come comportarsi in società, l’arte del ricevere, di rendere elegante e raffinato anche un ambiente umile. Indimenticabile (e non di grande utilità per il pubblico medio-piccolo borghese che legge la rivista), «Ricevimenti a Corte» che narra di galateo e mondanità a cui fa da contraltare «La rubrica della moda» che offre invece modelli facili e alla portata di ogni borsellino.
Nel novembre 1932 la redazione si sposta da Milano a Roma, a Palazzo Sciarra, diminuiscono le firme illustri e aumentano invece la pressione del Regime e l’impegno politico a fianco del fascismo. Ci si adegua alle nuove norme di austerità, si elogiano il consumo ridotto della carne, il crudismo che fa risparmiare combustibile, e si privilegiano ricette a base di riso e pesce. Sarà poi la guerra a mettere a tacere la rivista che interrompe le pubblicazioni.
È nel 1952, qualche anno dopo la fine del conflitto, che, a Milano, entrano in scena le sorelle Gosetti.
Anna, la nuova direttrice, così si rivolge alle lettrici nel primo numero: «Riprende le sue pubblicazioni mensili, per merito delle care abbonate di molti, molti anni fa, che ne hanno richiesta la ripresa con affettuosa insistenza. Continua il suo programma di contribuire al benessere e alla serenità dell’individuo e della famiglia … riaccendendo in tutte le mense il desiderio conviviale assopito dalla vita moderna».
Le tre sorelle Gosetti non sono donne qualsiasi. Nate a Viadana, nella Bassa Lombardia, al confine con le provincie di Parma e Reggio Emilia, sono note per la loro bravura ai fornelli, la famiglia Gosetti infatti ha sempre considerato la cucina una vera forma d’arte.
I Della Salda, la famiglia di origine della madre Maria, sono casari, mentre i Gosetti sono per tradizione «magnàn», battirame. Le tre sorelle, Anna, Fernanda e Guglielmina, restano presto orfane e si trasferiscono a Milano, negli anni Trenta. Anna, che è la maggiore, inizia a lavorare nell’agenzia pubblicitaria di Anton Giulio Domenghini, cosa abbastanza inusuale per una giovane donna di allora. Si occupa perlopiù di cinema e può contare su clienti famosi, i Cirio, gli Arrigoni.
Fernanda è invece un’esperta di ricette e di economia domestica e deve la sua formazione alla frequentazione delle riunioni delle Giovani Italiane.
Infine Guglielmina, detta Mina, lavora come impiegata, ma la sua vera passione è la fotografia. Nel 1951 le tre sorelle decidono di unire le forze, la guerra è ormai un ricordo, è il momento giusto per poter ricominciare, dopo l’incubo bellico, a interessarsi di sapori e fornelli. Acquistano così «La Cucina Italiana» dagli eredi dei Notari e trasferiscono la sede nuovamente da Roma a Milano, in via Vincenzo Monti.
La rivista assume ora una sua fisionomia ben definita, lontana da quella del «vecchio» mensile, interamente trasformata e adeguata alle esigenze dei tempi nuovi. Anna si occuperà della direzione e della pubblicità, Fernanda, con gli pseudonimi di «Cuoco Cirillo» e di «Signora Olga», crea la maggior parte delle ricette pubblicate e Mina le fotografa.
Il giornale ha una veste nuova, 44 pagine, contro le 16 del 1942, la copertina è colorata, stampata su carta patinata, il prezzo sale a 200 lire a copia, 2200 per l’abbonamento.
Sono tempi eroici per le tre sorelle, ed è la stessa Anna a raccontarli: «Partivo proprio da zero, prima mi occupavo di pubblicità e pensavo che la rivista mi potesse servire soprattutto per i prodotti che mi interessavano, dell’Arrigoni e della Cirio. La tiratura era di 10 mila copie con una resa del 50 per cento. Quando suonava il telefono, tante volte ricevevo più insulti che altro, non certo incoraggiamenti. Mi sono aggiunta il cognome della mamma, Della Salda, che dava un tono nobiliare. È stata veramente una battaglia, combattuta come squadra da noi sorelle: Fernanda a pensare, provare ricette e poi servirle, la Mina a fotografarle. Abbiamo tenuto duro e da Vincenzo Monti ci siamo spostate poi nella palazzina di via Sant’Antonio Maria Zaccaria, dietro il Palazzo di Giustizia».
I nuovi locali sono ampi e spaziosi, ma la vera novità, che decreterà il definitivo successo della rivista e la distinguerà dalle altre, è la grande cucina redazionale nel seminterrato, dove sono preparate e testate le ricette che saranno poi pubblicate.
Più che una rivista un affare di famiglia. Ma le sorelle Gosetti hanno idee molto chiare, il loro giornale deve essere «diverso», più agile e moderno del vecchio mensile, più adatto ai tempi nuovi.
Così «La Cucina Italiana» parlerà anche di arredamento, di moda, di giardinaggio, di come servire i vini, argomento fino ad allora considerato di dominio maschile.
Il nuovo target è rappresentato da casalinghe borghesi, quelle che possono permettersi di acquistare i primi elettrodomestici, fioccano infatti gli articoli sui nuovi oggetti del desiderio, nasce la nuova rubrica «La cucina che vorreste avere», si scopre che adesso è indispensabile la lavatrice, «la lavabiancheria automatica Fiat, lire 235 mila, pagabili anche a rate», come recita la pubblicità.
Il paese si muove, le sue abitudini cambiano, nelle case, insieme alla lavatrice sono arrivati anche il tostapane e lo spremiagrumi e le brave massaie al mattino preparano toast e spremute, non più brioche e cappuccino. Sulla rivista compaiono firme celebri che non disdegnano chiacchierare di fornelli, Indro Montanelli firma «La Napoletana», un pezzo in onore della vecchia caffettiera che gli ha tenuto compagnia negli anni difficili della guerra.
Giorgio Bocca racconta invece le cattive abitudini dei ristoranti italiani all’estero («Dio mi guardi – all’estero – dagli osti italiani»). Il giornale si guarda intorno, osserva le donne, scopre che non sono più le stesse, il loro ruolo è cambiato, oggi infatti: «Pur restando fra le pareti domestiche, non ci si può estraniare da quelle che sono le esigenze moderne. Vi è un progresso, vi è una evoluzione che anche la donna più affezionata alle tradizioni non può ignorare; ed è che la vita economica moderna è impostata su basi nuove e che a esse bisogna adattarsi e adeguarsi».
Ci si adegua dunque, anche a fornelli e sapori diversi dai nostri. Ecco infatti, per la prima volta, articoli su cucine straniere, la cinese, l’americana, la norvegese, l’israeliana; finita l’autarchia si può finalmente curiosare anche tra le pentole degli altri.
È solo l’inizio. Negli anni «La Cucina Italiana» subirà trasformazioni e mutamenti, ma senza mai rinnegare il passato. Le sorelle Gosetti abbandoneranno il timone ad altre, ma la loro creatura continuerà a camminare sulla strada tracciata, adattandosi a tempi diversi, a nuove mode, senza tentennamenti né incertezze e soprattutto senza mai conoscere delusioni e insuccessi. Niente male per un’avventura nata quasi per gioco: le tre «piccole donne» sono cresciute. Ce l’hanno fatta.
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