Ho sempre pensato che una ricetta sia una sorta di mappa stradale culinaria, che mostra il tragitto che va dalla lista degli ingredienti al piatto finito, che insomma ci fornisce gli strumenti per tornare a casa. Ma non tutto deve per forza essere scritto e raccontato nelle ricette. Gli ingredienti, le padelle, i forni, anche fattori come l’umidità possono cambiare il risultato finale. Così come quando si è al volante non c’è bisogno che ci sia detto: “Fermatevi se il semaforo è rosso” o ” Non guidare contromano” anche le ricette presumono che ci sia un qualche tipo di conoscenza di base. Però quando leggo quelle che vengono pubblicate sui giornali o sulla rete mi è chiaro che la linea di demarcazione di questa elementare conoscenza è finita molto in basso. Mi sembra infatti che la gente abbia cominciato ad usare le ricette nello stesso modo in cui usa il GPS, il Tom Tom, qualcosa da seguire senza mai usare il cervello, un modo per portarti da un posto all’altro, senza nemmeno rendersi conto di quale sia la strada per arrivarci. Chi cucina deve dar retta alla pagina scritta ma fino ad un certo punto, chi infatti osserva pedissequamente le formule codificate di solito perde di vista ciò che è davvero importante. Per esempio: le carote che sto usando sono più o meno dolci? Lo zenzero è particolarmente forte e quindi dovrò usarne di meno? E il quesito più importante di tutti: quanto devo cucinare un particolare piatto, in un particolare forno, in un giorno specifico con un certo tipo di ingredienti? A me sembra sbagliato indicare al millimetro i tempi di cottura. Ok, cuoci esattamente per cinque minuti è come dire guida esattamente per cinque minuti e poi gira a destra. Qualche volta si trova la strada, altre volte invece ci viene incontro il muro di un palazzo. C’è tanta gente che prova a fare un piatto, seguendo la ricetta passo per passo e poi mi dice: “La ricetta non funziona” oppure” Evidentemente non sono una brava cuoca”. Beh credetemi è un’idiozia. Chiunque sia in grado di tirar su bambini, pagare le bollette e far parte, in maniera funzionale, della società, è in grado di preparare buon cibo. Tutto sta nei modi in cui vi avvicinate alla cucina. Parte del problema che abbiamo oggi è che i libri di cucina sembrano affermare che una ricetta davvero buona debba eliminare la possibilità di fare errori. Beh, vi svelo un segreto: le brave cuoche commettono errori in continuazione. Prendono strane deviazioni che le portano in luoghi sconosciuti. L’attenzione si fa più acuta mentre cercano di capire dove sono andate a finire e come ci sono arrivate, oppure scoprono che in fondo la piazza sconosciuta in cui sono giunte è davvero la migliore possibile. A volte, come nella vita, è importante perdersi, anche in cucina. Quello che sta accadendo è che leggiamo un gran numero di libri di cucina, guardiamo un’infinità di cooking show ma cuciniamo sempre meno, il nostro interesse per i fornelli è diventato più voyeristico e sempre meno pragmatico, le ricette che seguiamo sono diventate automatiche nella loro semplicità, solo un modo per arrivare il più velocemente e facilmente da una parte all’altra. Nella nostra affannosa ricerca della destinazione abbiamo perso il piacere del viaggio. Ma il fatto è che il viaggio è esattamente quello che una ricetta dovrebbe essere. I libri di cucina dovrebbero insegnarci a cucinare, non solo a seguire le istruzioni. Facendo attenzione il cuoco dovrebbe riuscire ad interiorizzare il processo, rendendo di fatto obsoleta la pagina scritta. Lo scopo di ogni ricetta dovrebbe essere quello di aiutarci a trovare la nostra strada. E quindi il solo consiglio che mi sento di darvi è: assaggiate gente, assaggiate!
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