ANCORA BASTIANICH. MA QUESTA VOLTA E’ JOE!

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ANCORA BASTIANICH. MA QUESTA VOLTA E’ JOE!

E’ uscito su Panorama un bell’articolo-intervista alla celebrity culinaria del momento, a firma di Gianmaria Padovani.  Naturalmente parliamo di Joe Bastianich, imprenditore di successo, musicista e cattivissimo giudice a Masterchef, diventato famoso anche grazie all’imitazione che ne fa Crozza nel suo show.  Ma Joe, lontano dai riflettori è davvero un altra persona.  Serio, quasi timido.  Io l’ho conosciuto e intervistato anni fa, quando ancora non era il personaggio che è poi diventato,  per un documentario sul cibo come identità nelle comunità italo-americane, andato poi in onda sul canale satellitare Gambero Rosso.  Non solo è stato gentilissimo, mi ha anche fatto conoscere (e mi ha cucinato) i ramps, una buonissima verdura americana, a metà tra aglio e porro.  Una squisitezza di cui gli sarò sempre grata. Ecco l’intervista:

“Ristoratore, manager, viticultore, scrittore, personaggio tv, testimonial e, ultima novità, musicista e produttore di prosciutti: Joe Bastianich è tante cose tranne quella per cui è più conosciuto, ossia il giudice di Masterchef che boccia i concorrenti lanciando i piatti come freesby mentre urla “Vuoi che muoro?!”.

O meglio: la favella è quella che ha fatto la fortuna di Maurizio Crozza, ma lontano dalle telecamere non ha nemmeno l’ombra di quell’indisponenza. E, soprattutto, non è uno chef, ma un tycoon della gastronomia che ha mosso i primi passi a soli 22 anni d’età grazie a 80 mila dollari che gli prestò la nonna.

Siti specializzati come Celebritynetworth stimano i suoi guadagni netti nel 2013 in 15 milioni di dollari, 10 milioni di euro e spiccioli. Le due sue più grandi attività italiane, la Bastianich srl, in Friuli, e La Mozza, nel grossetano, hanno fatturato rispettivamente 2,1 e un milione di euro nel 2011.

Il volano di tutto questo denaro? Basta tracciare una mappa del suo impero gastroeconomico: Bastianich possiede 25 ristoranti e (per ora) due Eataly in società con Oscar Farinetti a New York e Chicago, cui si aggiungeranno Los Angeles e Philadelphia negli Usa, Città del Messico e San Paolo, in Brasile. Ancora: ha quattro aziende vinicole tra Italia e Argentina, firma guide enologiche, ha un prosciuttificio a San Daniele e conduce le edizioni italiana e Usa di Masterchef, fatto che gli è costato un’invettiva del collega Massimiliano Alajmo.

Non è finita: presto sarà testimonial per un’auto coreana, mentre lo è già per una pasta sfoglia, un gioiello e un detersivo. Un’attività, quella pubblicitaria, che lo vede attivissimo e gli attira qualche strale.

Sorprendentemente gli rimane del tempo libero che riempie con la musica: SkyArte ogni mercoledì manda in onda On the road, il tour italiano dei The Ramps, band di cui è frontman.

Quante persone lavorano per lei?

Circa tremila.

Avrebbe potuto fare la stessa carriera in Italia?

No. Ho un ristorante in Italia (Orsone, a Cividale del Friuli ndr) e ora capisco com’è difficile. Cosa dovrebbe cambiare? Niente. La clientela italiana è diversa, siete esigenti… Clienti tosti.

È davvero solo una questione di domanda?

In America la gente ti segue: gli dici di venire a mangiare alle sei? Lo fa. E poi si mangia a tutti gli orari. In Italia finora ho perso soldi, la speranza è di andare in pareggio, ma niente di più. Qui poi ci sono scogli come le leggi del lavoro e il costo dei dipendenti. Qui il ristoratore è considerato più come un artigiano, da noi è un businessman.

Ha già avuto a che fare con la nostra burocrazia bizantina?

Mesi fa ho spedito dagli Usa al Friuli un carico di carne frollata. Quanto ho dovuto faticare per far capire all’ispettore doganale che erano 30 mila dollari di bistecche buonissime e non carne marcia da buttare. È stato uno scontro culturale.

Crede che l’italian food mania mondiale sia al suo apice?

C’è ancora molto margine. Il governo italiano in passato ha investito molto in comunicazione per i suoi prodotti, ma non è riuscito a fare quello che ha fatto Eataly, tra l’altro guadagnando soldi. Farinetti è un genio. Sono suo socio per il nord e sud America, ma il progetto in futuro vedrà tutti gli Eataly accorpati nella stessa società.

Molti dei prodotti dei ristoranti Eataly americani sono prodotti localmente: carne dell’Iowa, farina del Michigan…

È la mentalità slow food integrata nel progetto Eataly. Si vende la capacità italiana usando i prodotti del posto.

Sembra il concetto di chilometro zero. Lo chef Massimiliano Alajmo l’ha definito “un’idiozia ideologica” prendendosela anche con Masterchef: vi accusa di essere cattiva tv e di non insegnare la cucina, ma la competizione.

Ha visto i dati degli iscritti alle scuole alberghiere? Dopo Masterchef sono aumentati dell’80 per cento: i ragazzi sognano di nuovo una carriera nella ristorazione, abbiamo valorizzato questo lavoro. È entertainment, certo, ma fatto bene. La cucina è al centro del programma e i concorrenti sono giudicati per i piatti.

E quella del “chilometro zero” è davvero un’idiozia?

È più l’ipocrisia di chi dice che tutti dovrebbero comportarsi in una maniera, anche se poi in quel modo si possono comportare solo i privilegiati: chi ha un orto o ha soldi.

L’altra accusa che rivolgono a lei e a Cracco è di sfruttare il successo per pubblicizzare prodotti industriali o che addirittura non c’entrano con il cibo.

La pasta sfoglia di cui sono testimonial costa un euro e 90 centesimi. Sarebbe uno snobismo promuovere solo prodotti dop o igp. La realtà è diversa: spesso è quella di dover mangiare con uno stipendio di mille euro. Comprarsi una sfoglia come quella che pubblicizzo, metterci sopra uno stracchino e qualche verdura, infilare in forno e dare da mangiare un buon piatto a quattro persone con tre euro di spesa totale mi sembra una cosa democratica. C’è un altro fatto: mi pagano e mi diverto. Non devo giustificare moralmente ogni mia decisione a tutto il mondo.

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