DA “A TAVOLA CON GLI DEI”- DI STEFANIA APHEL BARZINI-GUIDO TOMMASI EDITORE.
” L’ingrediente che più di ogni altro compare sulle tavole eoliane, quello capace di dare sapore e gusto anche al piatto più scipito, è il cappero. Di solito quando alle Eolie si parla di capperi si allude a quelli di Salina, nota per questi boccioli. Qualcuno infatti avrà trovato strano che che nel capitolo dedicato a quell’ isola non li abbia neanche menzionati. Il fatto è che , senza nulla togliere alla bontà di quelli di Salina, per me il cappero è indissolubilmente legato ad Alicudi. Chiunque abbia passato sull’isola anche solo poche ore lo sa: ad Alicudi sono moneta sonante, tutti li vendono nelle case, nei negozi, all’angolo della strada. Appena sbarcati, ad accoglierti è il grido: “Capperi ne volete?” lanciato dalle bambine isolane che sui loro piccoli banchetti di assi di legno ne vendono ai passanti insieme a povere conchiglie e a braccialetti di perline. Alicudi senza di loro non sarebbe la stessa, tanto che se mi chiedessero quali sono le immagini che meglio rappresentano l’isola, insieme agli asini, ai fichi d’India, ai panini di Anna ed Ettore, al mercatino di ferragosto e alla festa di San Bartolo, metterei anche le bottiglie d’acqua ripiene di capperi sotto sale. Di loro, oltre al sapore, apprezzo anche il fatto che provengano da una pianta eccentrica. Alicudi, come tutte le Eolie, ne è piena.
Il cappero che noi mangiamo non è, come potremmo credere, il frutto, bensì il bocciolo della pianta che viene raccolto prima di fiorire. Quelli che non si colgono si trasformano in fiori straordinari e profumatissimi, simili alle orchidee, dalle grandi corolle biance striate di viola e vermiglio. Il fiore diventa frutto, il “cucuncio”, che può essere consumato in insalata o come aperitivo. A rinforzare la sua eccentricità c’è anche il modo in cui la pianta si riproduce. Quando il cucuncio giunge a maturazione si apre come una rosa, e al suo interno i semi sono immersi in un liquido denso e zuccherino. Le lucertole eoliane ne sono ghiotte, così ci si avvicinano, pranzano, e quando tornano nelle loro tane tra le fessure e le crepe delle rocce, portano con loro i semi rimasti attaccati alle squame. Ecco perchè fioriscono sempre in posizioni estreme, laddove mai immagineresti che alcunchè possa crescere. Su capperi, lucertole e il loro strano connubio mi sono fatta una cultura. La mia casa è al gradino 465, una discreta altezza. La scala che mi ci porta è lunga e serpeggiante, invece di tagliare dritta come la direttissima, quella che raggiunge la chiesa, si diverte a girovagare per dirupi. Arrivati al gradino 365 la verticalità della salita viene brevemente interrotta da uno stradino pianeggiante che porta alle case della Tonna Bassa, pochi istanti di riposo e la scala riprende, più erta, verso casa mia e la Tonna Alta. Quando al tramonto inizia l’arrampicata, procedo lenta, zigzagando a testa bassa, i gradini sono irregolari e se si mette un piede in fallo si rischia una bella ruzzolata. Così negli anni ho imparato a riconoscere ogni fessura, ogni sbalzo, ogni crepa della scala. Poco prima di arrivare al sentierino in pianura, quando cioè restano solo 100 gradini da affrontare, si incontra un grande cespuglio di cappero. Prima che con gli occhi lo percepisco con il naso, il suo profumo si allarga leggero nell’aria ed è inconfondibile, dolce come il gelsomino e piccante come il cappero, si annusa e si assapora contemporaneamente. Quanto alle lucertole delle Eolie, sono diverse da quelle comuni, di un colore grigio rosato. E soprattutto sono molto curiose e assai poco paurose. A furia di guardare piedi e rocce ho stretto quasi un’amicizia con alcune di loro. Mi sono accorta che due o tre, sempre le stesse, aspettano il mio passaggio. La prima, in vigile attesa, immobile sulla medesima roccia, mi accompagna per un tratto fino a consegnarmi, come in una misteriosa staffetta, ad una sua parente che vive qualche gradino più in alto. La cerimonia delle consegne si ripete finchè non giungo a casa. Amici e parenti a cui ho raccontato questa singolare scoperta mi hanno guardata con un certo scetticismo, mormorando che forse era arrivato il momento di tornare in città perchè era evidente il mio bisogno di compagnia.
La raccolta di capperi, capperoni e cucunci è dura e faticosa perchè avviene a mano. I piccoli boccioli si colgono uno per uno tra maggio e settembre. Occorrono abilità, destrezza e una bella resistenza ed è per questo che le regole sono severissime: niente sconfinamenti e guai a chi ruba dalle piante altrui. Poi i boccioli così raccolti vanno stesi in un posto ombreggiato. Quindi si salano, alternando strati di sale e strati di capperi in grandi recipienti. Per i primi dieci giorni vanno travasati in continuazione, poi sono pronti per l’imbottigliamento. L’isola ne produce tantissimi, no c’è quindi da mervigliarsi se vengono declinati in tutti i modi”.
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