Ebbene sì, non solo sono onnivora, ma amo anche il cibo esuberante. Cosa intendo per cibo esuberante? Che so gli schienali, le animelle, la pajata, il cervello, la trippa, la coda, la lingua, il boudin (che sono salsicce di fegato e interiora di maiale, molto speziate che si mangiano in Louisiana). Sono insomma quella che gli Americani chiamano una “fearless eater”, una mangiatrice senza paura. Perchè? Perchè sono curiosa, se incontro cibo che non conosco il mio primo istinto è quello di assaggiarlo, poi magari non mi piace, ma intanto lo assaggio. Anche se devo dire che davvero poche sono le cose che non mi piacciono. Una delle poche cose alle quali ho detto no è stato l’Haggis, piatto nazionale scozzese, budella di pecora, cipolle, fiocchi d’avena, erbe, il tutto cotto nello stomaco della medesima pecora. Ma il rifiuto non è stato causato da mancanza di curiosità quanto dal fatto che il piatto mi fosse stato presentato per breakfast, appena sveglia, desiderosa solo di cornetto e caffè, o forse biscotti, al massimo pane burro e marmellata (ma avrei anche ceduto di fronte a uova e bacon), ma l’Haggis alle 8 del mattino è stato troppo, e ora mi mangio le mani di non averlo assaggiato e aspetto con fiducia che qualche amico scozzese me lo riproponga a ore più decenti.
Mi sono invece sentita assai avventurosa un giorno a Catania, quando uno chef mio amico ci ha portato a mangiare in un’osteria, in una strada della quale ricordo solo un gran numero di macellerie equine ma non il nome. Il posto è senza alcuna pretesa, due stanze, una grande botte dalla quale spillare un marsala da Oscar, una vecchia signora vestita di nero, la proprietaria, che siede in cucina e dirige il traffico ai fornelli, traffico gestito solo da donne, che senza molte parole saltano di casseruola in padella. Il mio amico chef, sorridendo con aria di sfida mi disse : “Qui cucinano le labbra del maiale, è una loro specialità”. Sono certa che pensasse che mai mi sarei nemmeno avvicinata ad un piatto del genere. E invece le sue parole sono state musica per le mie orecchie. Detto e fatto. Ecco arrivare un piatto colmo di…boh? Cartilagini, grasso? Insomma le famose labbra, semplicemente bollite e poi condite con olio d’oliva, prezzemolo, aglio, limone e peperoncino. Vi giuro, una delle cose più buone che abbia mai assaggiato. Me le sono spazzolate in quattro e quattro otto, sotto gli occhi stupiti, e anche leggermente schifati, degli altri commensali che invece avevano optato per piatti, ottimi anch’essi, ma decisamente meno audaci. Incluso il mio amico chef. Purtroppo di quel luogo non ricordo nè indirizzo nè il nome. Il mio amico chef non lo sento da un po’. Ricordo solo che il quartiere era un po’, come dire, malfamato. Questo almeno ci disse il l’amico chef, e in effetti c’era un nugolo di motorini che ci seguiva passo passo, niente di aggressivo per carità,più che altro tentavano di capire chi eravamo e cosa stessimo facendo lì in territorio sconosciuto. Infatti arrivati alla trattoria i motorini e i loro padroni, evidentemente soddisfatti, si dileguarono. Comunque cari amici catanesi, lancio qui un appello: se qualcuno di voi ha capito di che posto parlo, per favore, ditemene il nome! Che io non vedo l’ora di poter tornare a Catania a mangiare boccucce di porco!
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