Nel sangue di ogni romano, oltre all’amatriciana, alla carbonara, al cacio e pepe e alle puntarelle, scorre potente anche la zuppa di broccoli e arzilla. Quando ero bambina io non c’era trattoria romana che non l’avesse in menu. A me la fece conoscere mio padre (quasi tutti i cibi e gli ingredienti che più amo me li ha fatti scoprire mio padre). La mangiavamo insieme in certe osteriacce di Trastevere, posti buie umidi, dove su tovaglie di carta, un oste, di solito piuttosto rozzo e scortese, faceva ruzzolare scodelle di questa zuppa calda e fumante, che nelle sere d’inverno ti allargava il cuore. E se non era in brodo l’arzilla veniva servita semplicemente lessata, e condita con olio, sale, limone, un po’ d’aglio e molto prezzemolo. Scivolava in bocca come seta e il suo calore ti arrivava in testa riuscendo a sconfiggere anche il raffreddore più potente. Per tanti anni poi è scomparsa, negli anni stupidi della ristorazione, gli ’80 e i ’90. Adesso, in tempi di crisi l’arzilla, pesce povero ed economico, si è ripreso i suoi spazi. Io ne sono felice.
LA STORIA
E’ una delle ricette tipiche e più gustose della cucina romana, povera di ingredienti ma ricca di sapori, e un piatto molto popolare perché utilizzava ingredienti che avevano un bassissimo costo. Quando il venerdì era ancora considerato giorno di “magro”, le massaie romane usavano i rimasugli di pasta, che all’epoca veniva venduta sfusa, e li cuocevano in un brodo di razza, quella che ancora oggi a Roma chiamano arzilla. La minestra non aveva però un gran sapore e così, per renderla più gustosa aggiungevano il broccolo romano, molto diverso dal cavolfiore comune sia nella forma, che nel gusto, che conferiva alla zuppa un odore ed un sapore decisamente forte e importante. Col passare degli anni questo piatto è stato un po’ dimenticato, per tornare poi prepotentemente alla ribalta grazie anche ad Agata Parisiella, una chef romana che ha saputo nobilitare con molta grazia questa ricetta della tradizione.
L’ARZILLA
Altro non è che una razza, un pesce privo di lische e dotato invece di ossetti gelatinosi che si possono mangiare. E’ molto economico e considerato poco pregiato al punto che i pescatori lo ributtavano a mare quando se lo trovavano impigliato nelle reti. Nei mercati poi era venduto a poco prezzo a causa della sua poca resa e delle carni un po’ stoppacciose. E invece si tratta di un pesce che può riservare grandi sorprese soprattutto se fatto in minestra ma anche impanato e fritto a cotoletta o semplicemente condito con olio, limone e un buon trito di aglio e prezzemolo.
LA CHIAMANO COSI’
Come spesso accade con i pesci nostrani l’arzilla cambia nome a seconda delle regioni da cui proviene. E allora cerchiamo di fare chiarezza.
Clavellado, in Liguria. Baracola, in Veneto. Razza di scoglio, in Toscana. Spinosa Macchiata, nelle Marche. Rascia, in Abruzzo. Arzilla, nel Lazio. Rascia Petrosa, in Campania. Pigara Petrosa, nelle Puglie. Picaredda Spinusa o Petruzza, , in Sicilia. Rasciuna de funnu o Capitana Scritta, in Sardegna.
OMAGGIO POETICO
La Minestra di Broccoli e Arzilla è uno di quei piatti che immancabilmente inumidisce gli occhi dei romani veraci. Al punto che uno dei più famosi, l’attore Aldo Fabrizi, gli dedicò una poesia:
” Sta minestra barsamica de pesce,
specie si er brodo è fatto co’ l’arzilla,
ve basta solo d’assaggià ‘na stilla
pe’ dì: “Mò panza mia poi pure cresce!”
E’ peggio de ‘na droga sconosciuta
che intossica er palato e nun dà tregue:
tutti li venerdì, ‘na ricaduta”.
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