Sono reduce da un breve tour per la promozione del mio libro, tra Abruzzo e Marche. Un’esperienza fantastica, e per molte ragioni. La bellezza del viaggio: in macchina abbiamo fatto la Salaria, attraversando Lazio e Umbria, il Gran Sasso e le colline abruzzesi che dolcemente calano sul mare. Il nostro è un paese bellissimo, che riserva sorprese infinite, a rovinarle è solo la mano dell’uomo. La scoperta della provincia (è una scoperta che si ripete sempre, in ogni regione d’Italia, ogni volta che mi metto in viaggio lontana da strade battute): è vero, appena si esce dalle grandi città si incontra un’altra Italia, così diversa da quella metropolitana, gente curiosa, gente che ancora si inventa la vita, che lavora con tenacia, che gira il mondo per poi tornare alle proprie radici, gente in cui ancora vive quello spirito creativo e imprenditoriale che ha fatto del nostro Paese un’eccellenza. E poi il cibo!! Non potete nemmeno immaginare quanto io abbia mangiato in questi tre giorni! Ingozzata come un piccione. In Abruzzo: chitarra al ragù, arrostino di maiale con le pesche, ceppe con spinaci selvatici (prima volta che li assaggiavo: sublimi, una verdura che sa di terra, di funghi, di sottobosco) pecora alla cottora, una sorta di saporitissimo spezzatino al sugo. Nelle Marche: totani e fagioli, un’accoppiata vincente, cresce ai frutti di mare, orata con patate e dolci al cioccolato. Una grande abbuffata insomma. A tavola con noi c’era anche Leo, il marito di una delle padrone di casa (le due amabili sorelle Rossi, proprietarie dello Chalet La Conchiglia a San Benedetto del Tronto). Leo si occupa di vendita e esportazione di prodotti ortofrutticoli. Sono stata ad ascoltarlo mentre ci raccontava i motivi per i quali i kiwi nostrani non sanno di nulla, anzi sanno di rapa. Mai ho sentito parlare di frutta con tanta poesia e dolcezza. Leo ci ha parlato del kiwi con le stesse parole che avrebbe usato per parlare di un bambino appena nato: una creatura che come i neonati, subisce il trauma della nascita, del distacco dalla mamma-pianta e che quindi nell’immediato post partum avrebbe bisogno di essere cullato, coccolato, circondato di cure di modo che la ferita della nascita si cicatrizzi permettendo al kiwi di maturare in armonia. Questo, nella maggior parte dei casi, non avviene e allora il piccolo kiwi si vendica, restando acerbo, calloso, duro e allappante. Uno dei modi per rimediare, in parte, a questo guasto, è sbucciarlo, tagliarlo a fette e lasciarlo in un contenitore chiuso per qualche ora prima di mangiarlo. Leo mi ha insegnato che anche la frutta e la verdura sono vive e affinchè ci possano donare il meglio delle loro essenze bisogna rispettarle e averne cura, come si fa ( o si dovrebbe fare) con gli animali di allevamento e con i nostri bambini. Ce ne fossero tante di persone che fanno il loro lavoro con la stessa passione di Leo! E ce ne fosse tanta di gente come quella che ho incontrato, gente con la stessa fantasia, la stessa tenace caparbietà, la stessa curiosità. E’ questa la gente che può farci uscire dalla crisi.
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