L’articolo di oggi di Vittoria Iacovella sullo “scandalo pane”.
Ogni giorno in Italia si producono 72 mila quintali di pane. Se ne buttano via, ogni giorno, 13 mila quintali. Due campi di calcio, riempiti e svuotati. Ogni giorno. Anticipazione dal reportage in onda di questa sera alle 21.30 su Repubblica.it e laeffe tv, durante la puntata “Le tasche vuote degli italiani”
La storia dello scandalo del pane, moltiplicato e buttato via, che raccontiamo nella puntata di questa sera, inizia alle cinque di mattina.
E’ ancora buio. Maurizio chiude le porte del suo furgone e inizia il suo giro di consegne per pagnotte, rosette, baguette preparate durante la notte. Dentro ci sono farina, acqua, lievito madre, energia elettrica, carburante, ore di vita, la radio che parla della crisi, i calendari infarinati con le donne nude e le pagnotte bianche e tonde che entrano in forno.
Maurizio consegna il fresco e prende ciò che è avanzato dal giorno prima. “Il reso” non gli verrà pagato, è buono, ma finirà nell’immondizia.
“Colpa delle condizioni poste dalla grande distribuzione ai panificatori” spiega Claudio Conti, presidente di Assipan . “ I colleghi hanno iniziato a dire sì alla grande distribuzione per farsi concorrenza e accettavano di produrre, come veniva chiesto, molto più di quello che sarebbe stato venduto. Si caricavano il rischio del reso. I supermercati vogliono avere gli scaffali pieni fino a un minuto dalla chiusura. Così, ogni giorno, circa il 25 per cento del pane prodotto andrà buttato. Non possiamo farci nulla. Dobbiamo ritirarlo, non ci viene pagato e dobbiamo smaltirlo. Ovvero, lo buttiamo. Perché donarlo non si può. Siamo una categoria ricattata e strozzata. Molti hanno anche paura di denunciare quello che ormai avviene, per paura di perdere quel cliente grosso e approfittatore ma che ti tiene in vita”.
A causa delle leggi del mercato e della mancanza di una rete di solidarietà che sia in grado di organizzarsi, insomma il pane non arriverà a chi non può permetterselo.
Tanto è vero che tre mense della Caritas di Roma, lo scorso anno sono state costrette a spendere 90mila euro per acquistare il pane quotidiano. “Noi dobbiamo avere quantità certe ogni giorno” spiega Francesco Mascolo, operatore della Caritas. “Non possiamo aspettare che qualcuno ce lo doni” . E così arrivano a pagare anche cinque euro al chilo, il pane di quelle stesse imprese che ne buttano a tonnellate. O che magari lo vendono in nero alle aziende agricole.
Chiedendoci di rimanere anonimo, un produttore in provincia di Roma arriva con la sua auto di grossa cilindrata e i vetri oscurati. Parla di crisi, di operai da licenziare. Non ha le mani sporche di farina come Maurizio. Apre la porta di una baracca da cantiere in lamiera. Controluce, il profumo del pane fresco arriva prima dell’immagine. Una montagna di pane accatastato, buttato in malo modo, calpestato dagli scarponi degli operai che ne scaricano ceste su ceste. Nel corso della mattina il magazzino si riempie. Poi arriveranno gli addetti per disfarsene. In quella sola azienda, di dimensione media, sono otto quintali al giorno. “Ma c’è chi ne accumula anche venti – ci assicura il proprietario- in tutta Roma ogni giorno sono 200 quintali.“ Un operaio ci fa salire sul furgone con lui. Arrivato davanti ai cassonetti inizia a svuotare ceste e ceste di pane. Poi si gira con la mandibola contratta: “Non è vero, non va così. Questa cosa in realtà non succede, è una messinscena. Ma no che non lo buttano davvero, lo rivendono alle aziende agricole. Noi lo diamo alle bestie, lo compro anch’io per cinque euro ogni dieci chili, è a nero, non si potrebbe fare, ma meglio che buttarlo. E certo che questi qui lo riciclano. E certo che non lo danno ai poveri, a loro glie lo vendono..”
In realtà una soluzione ci sarebbe. E’ la “legge del buon samaritano” che permette alle associazioni di ritirare il pane gratis ma deve essere fatto quando è ancora dal distributore e prima che diventi un rifiuto. Per fare questo però serve una rete organizzata che raramente esiste. In provincia di Pisa, Maurizio Figuccia, con la sua azienda di dimensioni medio-piccole il suo pane lo donerebbe. “Ma chi viene a prenderselo? – dice- Io ho a malapena il carburante per le consegne, e per colpa della crisi in azienda da nove siamo ormai in tre. Sono stato costretto a lasciare a casa anche i miei figli. La burocrazia poi alimenta questo sistema. La rete per portarlo alle mense Caritas non esiste e forse non interessa abbastanza che ci sia. Non resta che buttarlo. Ogni giorno così. Che rabbia”.
Di Vittoria Iacovella
No Comments